Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2025

34 FOCUS Civiltà del Lavoro | settembre • ottobre 2025 fici. Per esempio, è possibile che alcune imprese già presenti in territorio americano e che già erano sottoposte a vincoli sull’importazione di alcuni prodotti agroalimentari cercheranno di spostare la produzione. Mi sembra più difficile, invece, che vengano fatti degli investimenti ex novo. L’incertezza è tale e l’impegno finanziario così elevato che, a meno di non averlo programmato per altre ragioni, difficilmente un’impresa investirà soltanto per evitare l’impatto dei dazi. Come valuta la risposta che l’Unione europea ha dato finora alla politica commerciale di Trump? Si poteva fare meglio, si poteva fare di più. Il negoziato a mio avviso è stato molto debole. Non dobbiamo dimenticare che quello europeo per gli Stati Uniti è il mercato più grande al mondo, soprattutto in una serie di settori riguardanti i servizi come finanza e hi-tech. L’Ue avrebbe potuto usare questa leva per negoziare un po’ di più, invece ha cercato soltanto di limitare gli effetti negativi senza ottenere granché in cambio dagli Stati Uniti. Rispetto alle minacce iniziali i dazi sono stati più bassi, ma restano comunque molto più alti se paragonati a quelli della precedente amministrazione Trump. Da parte europea, che cosa ha determinato la debolezza di questo negoziato? Purtroppo, come al solito, hanno pesato le divisioni intraeuropee. Ogni paese aveva interesse a cercare di proteggere qualche sua particolare industria, non c’è stato un fronte unico e questo ha ridotto la forza negoziale. I singoli paesi hanno un’importanza relativa, è l’Unione europea nel suo insieme quella che dovrebbe pesare. Alla luce di ciò la ricerca di nuovi mercati, e ci riferiamo in particolare all’intesa con il Mercosur che è giunta all’ultima fase di approvazione istituzionale, potrebbe essere sufficiente per mitigare gli effetti dei dazi imposti dall’amministrazione Trump? Sì, ricercare nuovi mercati è sicuramente importante e potrebbe essere anche sufficiente. Non dimentichiamo che il mercato americano rappresenta circa il 15% di quello mondiale, su tutto il resto si può lavorare e si può recuperare molto perché le imprese italiane sono ancora poco presenti, ad esempio, sui mercati asiatici. E lì si può fare molto. Con gli Usa non c’è stato un fronte unico e questo ha ridotto la forza negoziale. I singoli paesi hanno un’importanza relativa, è l’Unione quella che dovrebbe pesare Foto jubu graphic © Shutterstock

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