Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2025

66 FOCUS Civiltà del Lavoro | settembre • ottobre 2025 uando si evoca il termine expat si corre il rischio di ridurre la questione a una categoria tecnica, a un fenomeno da grafico statistico o a una voce nei rapporti macroeconomici. Eppure, dietro quella parola apparentemente neutra, si celano storie concrete: vite di giovani uomini e donne che non hanno rinnegato il loro Paese, ma che altrove hanno intravisto ciò che qui non trovavano. Non è una fuga, è piuttosto una ricerca di futuro. È questa la verità più scomoda: essa costringe la nostra società a misurarsi con le proprie inadempienze, con le promesse mancate, con il divario tra il potenziale e la realtà. Rubare il futuro ai giovani resta il peccato più grave di una comunità che si pretende civile. Le competenze che emigrano non sono semplicemente la somma di anni di studio o di sacrifici familiari, ma rappresentano un capitale umano e morale che viene sottratto al tessuto produttivo e sociale. Ogni giovane che parte lascia un vuoto che non riguarda soltanto l’azienda, ma la vita quotidiana dei quartieri, dei paesi, delle comunità che lentamente si inaridiscono. Se all’estero trovano retribuzioni proporzionate, prospettive di carriera più rapide, case accessibili e servizi affidabili, allora la vera domanda non è perché scelgono di andare, bensì perché noi non siamo stati capaci di restare attraenti. Un Paese mostra la propria forza quando consente ai suoi giovani di crescere senza dover varcare i confini. Invertire la rotta significa restituire fiducia. Una fiducia che non si conquista con bonus effimeri o slogan pubblicitari, ma che si costruisce pazientemente, giorno dopo giorno, nella coerenza delle istituzioni, nella responsabilità delle imprese, nella capacità della società di riconoscere i giovani non come un problema da gestire, ma come il baricentro da cui ripartire. Non è sufficiente offrire un salario: occorre delineare un progetto di vita. Servono politiche abitative accessibili, retribuzioni dignitose, servizi che non costringano a sacrificare l’equilibrio tra lavoro e famiglia. Ma serve soprattutto un cambio di mentalità: educare al futuro non è addestrare lavoratori, è coltivare immaginazione, alimentare fiducia, generare speranza. Nel nostro percorso in Coelmo abbiamo scelto di percorrere questa strada. Decisioni talQ di Stefania BRANCACCIO Stefania Brancaccio COME CAMBIARE ROTTA

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